Treno Milano Firenze. Business, posto da 4. Accanto a me, un tizio con le cuffie wireless alle orecchie che non ha detto una parola per tutto il viaggio. In compenso, di fronte a me siedono una donna e un uomo, colleghi di lavoro.
Per tutto il viaggio, tutte le oltre due ore del viaggio, la donna seduta quasi in fronte a me ha letteralmente vomitato rabbia. Ha criticato ogni singola persona di cui ha parlato, penso più o meno tutti i suoi colleghi e superiori. Le due conversazioni telefoniche che ha avuto sono state rapide, velenose, seccate, con toni urticanti e scostanti, al limite dell’ingiuria verso la persona che era dall’altra parte della cornetta.
Mi è venuto il mal di testa. A me, che non viene mai. Ad un certo punto ho anche cambiato posto, portando con me il computer con cui stavo (cercando di) lavorare. Ma è durata poco, purtroppo, il treno era troppo pieno. E la sua voce troppo alta.
Ma non è stata la voce a intristirmi. Ho solo pensato: “perchè?”. Perchè quella donna era così arrabbiata? Ad un certo punto avrei voluto chiederglielo. Perchè sei così arrabbiata? Fermati, guardati.
E’ ovvio che non erano gli altri la causa, per quanto fossero pessimi, inetti al lavoro, stupidi. La rabbia era tutta sua, interna, sfogata buttandola addosso agli altri. Che fosse scontenta sul lavoro (ad un certo punto ha accennato ad una promozione andata ad altri quando lei la meritava di più), che fosse turbata per qualcosa di personale, comunque sempre di rabbia si trattava, che investiva tutti noi, come un tornado a ioni negativi, in spire strette e ineludibili.
Ho dovuto tirar su tutte le paratie, ma non è stato abbastanza, e il mal di testa strisciante durato tutto il giorno ne è stato la prova tangibile.
Non mi sono arrabbiata a mia volta. Ho contemplato la sua rabbia e l’ho lasciata dissolvere fuori di me, andando al nucleo e non al sintomo. A volte si arriva a questi livelli di scollamento dalla realtà, quando sembra che tutto il resto del mondo sia in torto e solo noi paladini della verità o vittime innocenti dell’incompetenza e dabbenaggine altrui.
Bisognerebbe fermarsi e riflettere, ma come si fa se la rabbia supera ogni cosa, se tutto si colora di rosso, la voce sale di un’ottava, il tono si fa esagitato, vomitiamo parole addosso a chiunque ci offra (malcapitato!) un orecchio di ascolto anche solo per un po’?
E quale è la difesa dalla rabbia insensata? Quale è l’atteggiamento che mitiga invece che aizzare? Credo di non essere in grado di offrire soluzioni. Ma posso dire, ad oggi, cosa fa stare meglio me.
Nel caso di estranei, son fatti loro. Una scrollata di spalle, due passi e sono già dimenticati (non sempre, dato che son qui a scrivere di un fatto di qualche giorno fa).
Nel caso di persone vicine, osservo la loro rabbia, la riconduco a loro stessi (non sono io l’artefice), la sorpasso, me ne tengo lontana per quanto possibile. Non riuscirò mai a far cambiare idea ad una persona arrabbiata con la vita. Posso solo cercare di accoglierla per quello che è, aspettando tempi migliori. Vicina ma con distanza, pronta a cogliere i momenti di apertura. Ma non dimenticandomi di tutelare me stessa.
Non è facile, perché la rabbia è un sentimento così negativo e dirompente, che specialmente quando è indirizzata verso di noi lascia il segno, ferisce, colpisce, a volte umilia, in ogni caso lascia scorati.
Mi guardo dentro per capire se anche io sono arrabbiata, quando, cosa mi fa scattare e perché.
Osservare gli altri ci fa da specchio e ci aiuta a riflettere. A volte, a migliorare.
Ciao signora arrabbiata, spero che tu riesca a trovare pace prima di combinare disastri non solo nella tua vita, ma anche in quella degli altri.
E, con un’espressione americana, “that’s unfair”!