Voglia di rivedersi, ma gli abbracci sono una trasgressione
I viaggi, fino a qualche settimana fa timidi e rari, sono ripresi a pieno ritmo. Oltre all’ormai usuale treno, non più ” a distanza” come durante le restrizioni più dure, eccoci ad affrontare anche l’esperienza aereo.
Le prime difficoltà: il pass europeo, nel quale si dichiarano green pass, tamponi, stato di salute… da fare al massimo 48 ore prima del viaggio.
I controlli all’ingresso, dopo i chili di documenti trasmessi on line, sono per fortuna molto rapidi se non del tutto inesistenti.
Il senso di claustrofobia a bordo dell’aereo è accentuato dalla FFP2, che non si stacca dal viso salvo per bere un sorso d’acqua.
Per farsi riconoscere, anche dagli amici, occorre fare un passo indietro, tirar giù la mascherina e ribadire nome e cognome.
Ma vediamo il lato positivo: la mascherina impedisce di vedere quel nostro lato intimo dell’abbandono al sonno e alla cascaggine della mandibola. Non si vedono più bocche aperte e fili si saliva pencolanti, misericordiosamente celati da quella protezione doppia, dal virus e dalla miseria umana.
La voglia di rivedersi è tanta, ma gli abbracci sono una trasgressione riservata solo alle persone più intime. Con sempre un minimo di indecisione, un passo avanti e uno indietro, nell’attesa di cogliere nell’altro un segnale positivo o di distacco.
Le cene insieme diventano un momento di goliardia, si straripa con energie troppo a lungo trattenute. Il paragone con le orge durante la peste ricordate anche da Camus, la necessità di riaffermare la vita sopra la morte è istintivo. Non si arriva ai baccanali, ma alcool, canti, frizzi e lazzi sono lo sfogo dopo mesi di forzato isolamento e giornate di approfondimenti specialistici.