Stump stump stump. Il contachilometri segna 4 km, tempo di fermarsi per il mio fisico non abituato e provato da un anno e mezzo di fermo. Un tempo di sospensione, un’immagine che rimane sfuocata e con i contorni sbiaditi, un po’ come in quelle caldissime giornate d’estate dove l’orizzonte sembra tremolare per perdersi in un’altra dimensione.
Ripenso al Marocco, quello di più di 30 anni fa. Persone in cammino, a tutte le ore del giorno e della notte. Sulla strada, con le tuniche fino ai piedi, un passo dietro l’altro. A volte con fagotti, borsoni, altre senza neanche una di quelle che ora si chiamano pochette. Ma dove andavano?
In un paese povero, scarno, stremato camminare è necessario come respirare: per procurarsi acqua, cibo, per andare a lavorare quando c’è lavoro, per scappare da una guerra, da violenze, dall’annichilimento.
In tempi passati il cammino era anche pellegrinaggio. Il sottoporsi ad una prova di resistenza che diventava espiazione e purificazione. Chilometro dopo chilometro.
Noi abbiamo dato una nuova dimensione: adesso si cammina “per salute”, per dimagrire, per uscire dalla routine che ci vede legati a sedie e scrivanie.
E abbiamo inaugurato l’era del cammino che non porta in nessun luogo: il tapis roulant, tanto movimento per rimanere legati allo stesso metro quadrato, con un video di fronte agli occhi o la musica sparata nelle orecchie.
Criceti in gabbia che girano sulla ruota.